Il 26 Gennaio 2019 è una data che resterà impressa a lungo nella memoria degli Scacchisti del Lazio Meridionale: dopo un percorso entusiasmante lungo due mesi, si è concluso il I Campionato Provinciale a Squadre in quel di Sora, ospiti della splendida cornice di Bibliote’. Scontata la vittoria finale di Cassino già dalla penultima giornata, ci si sarebbe magari aspettati un generale rilassamento. Invece, i giocatori hanno messo in campo la solita verve, dando fondo alle risorse tattiche e strategiche pur di prevalere. La dimensione più nobile del Nobil Giuoco si è manifestata in maniera straordinaria, evidenziando il contrasto fra il gioco tecnicistico di élite attuale e l’entusiasmo cappellaro dei cosiddetti “amatori”. E sia chiaro: le 100, 1.000, 10.000 “Immortali” di Pinco (NC) contro Pallo (3N), giocate ogni giorno nei peggiori bar di Caracas (cit.), hanno una qualità intrinseca infinitamente superiore alle ineccepibili partite di un mondiale così sciapo, da dare l’impressione che il sale in casa sia finito… È solo nostalgia quella che mi spinge ad amare allo spasimo le finali giocate da Capablanca, Alekhine, Euwe, Botvinnik, Bronstein, Smyslov, Tal, Petrosjan, Spasskij, Fischer, Karpov e Kasparov, oppure il sapore di quei match mantiene intatto il retrogusto di un gioco inimitabile, che l’imitazione umana dei motori rischia di svilire?
Per venire a noi, i Black&Decker di Cassino hanno sbancato di nuovo, battendo l’ottima Atina per 2½ a 1½. In prima scacchiera ho dovuto schierare me stesso, a furor di popolo. Oddio, più che altro perché i giocatori erano finiti… e meno male che Paolo Marcelli era rimasto incantato da Akon, sennò -per rimanere in tema musicale- col piffero che gli facevo ballare l’hully-gully come avvenuto in partita! In seconda Gambelli liquidava il combattivo Rufo, lasciando però una domanda in sospeso: perché si sono messi a giocare una semi-lampo, se avevano un’ora a testa? Patta combattuta ma non piatta fra Notarangelo e Fazio, mentre in quarta scacchiera Roberto Di Vizio concludeva il suo prestito oneroso agli Atinati battendo in un’apertura -ehm…- eccentrica Marino Junior, al quale hanno poi spiegato che il torneo non era un 3+0, ma uno a tempo lungo: “Cavolo, non me lo potevano dire due mesi fa?”, ha esclamato il Principino, dardeggiando un’occhiata di severo cipiglio all’inefficiente genitore.
Dall’altra parte, i cavalli di Frisia di Valcomino hanno purtroppo ceduto davanti all’assalto all’arma bianca con forbici, cesoie, lambrusco, rose, coltelli e pop-corn dei Sorani, nonostante la stoica resistenza (sfociata in patta) messa in atto da Caira contro Pantano, che pur avvinghiando alla carotide il giovane avversario, non è riuscito a scavallare i frangiflutti di Daniel. Operazione Tempesta, invece, riuscita da Di Gasparro, anche se l’ottimo Mancini non perde il solito sorriso sotto i baffi del cappello… o era il cappello quello che stava sotto i baffi?
Concludendo, concludendo: “Vince Cassino col sigillo Bianco&Nero“. Anche senza la montagna, Sora ci guadagna, scavalcando Atina al secondo posto, mentre Valcomino chiude in quarta posizione. Ma guardiamo il lato positivo: Mancini and co. sono i primi! Partendo dal basso, naturalmente: ma non lo dice anche il Vangelo: “Beati gli ultimi, perché saranno i primi”?
Battute a parte, un ringraziamento sentito va indistintamente a tutti coloro che hanno patecipato, a qualunque titolo, a questo torneo. Tutti speriamo che sia stato un buon viatico per l’imminente Campionato Italiano a Squadre, dove il nostro Circolo è chiamato a importanti conferme. Dopo la sofferta salvezza di due anni fa, e quella tranquilla con vista-promozione in B l’anno scorso, le ambizioni non possono essere più nascoste. Per quanto mi riguarda, spero di mantenere un’imbattibilità (ormai lunga 21 mesi), che mi onora; ma soprattuto spero di fornire un utile contributo alla causa. E auguro ai più giovani della squadra “Juniores” (non me ne vogliano gli altri) i migliori successi, finalmente: lo meritano, e ne hanno le capacità. Sono infine certo che i Veterani degli Anni ’70, a cominciare dal Maestro Sergio Sollima, continuando con Pantano e Catracchia, sapranno spiegare efficacemente il concetto di “classe” ai futuri (malcapitati) avversari. Aspettando il Presidente, naturalmente, che non si è troppo sprecato in questi mesi. Ma si sa: l’insegnamento assorbe. I discenti assorbono. Il docente invece si dissecca. 😀
PS: siamo pronti per una seconda edizione, magari allargata? Su, dai!
I “CCCP – Fedeli alla linea” erano un provocatorio gruppo punk/rock italiano, attivo alla fine degli anni ’80 del secolo scorso. Nel magma ribollente della musica alternativa di quegli anni, celebravano la propria ortodossia (!?!?), al punto da sciogliersi dopo le note vicende del 1991.
Come tutti sanno, negli Scacchi la Partita Ortodossa rappresenta un caposaldo della teoria e della pratica scacchistica da almeno un secolo, ed è stata consacrata ai livelli più alti nel corso del match epocale del 1927 fra Capablanca e Alekhine (conclusosi, dopo ben 34 partite, a favore di quest’ultimo) in cui fu giocata solo nella prima partita -una difesa Francese vinta dal russo col N- un’apertura diversa da 1.d4. Un’altra curiosità degna di nota è che l’11a di quel match,
Abbiamo il primo coraggioso “vero”! Domenico Notarangelo, grandissimo appassionato di scacchi, colonna portante del nostro circolo, linuxaro (o linuxista, o linuxologo… boh? Insomma, gli piace il buon, vecchio Red Hat, altro che Winblows!), mi ha spedito da qualche giorno una sua interessantissima partita. Interessante doppiamente (e per me triplamente): perché ha inviato la partita per email, accompagnandola da poche righe laconiche, da cui però traspare un orgoglio e un’emozione mal celati (“Buongiorno. La mia miglior partita di Sempre 🙂 In allegato il pgn con miei commenti, più che altro la storia della partita! Ho usato Scid.
Ciao.”): è il primo “umano de noantri” che mette nero su bianco (in tutti i sensi, come vedremo) le proprie analisi e i propri tormenti interiori; poi perché si tratta di una variante di tutto rispetto, che porta il nome ostico
I record indicano di fatto il modo di conquistare i nostri traguardi. Grandi o piccoli, ognuno di noi ha i suoi record. Io, per esempio, sono rimasto imbattuto sulla a scacchiera dal 2 Settembre 1990 al 26 Febbraio 2016, una striscia di oltre 25 anni, credo insuperabile a qualsiasi livello. Vorreste sapere come ho fatto? Semplice: non ho giocato più!
Scherzi a parte, nella lunga storia degli scacchi sono stati stabiliti record che hanno resistito per decenni ed altri che potrebbero durare ancora per chissà quanto; molti potrete trovarli nel meraviglioso libro di Paolo Bagnoli (“Scacchi – Storia, controstoria e altre cose ancora”, ed. Mursia).
Qualcuno ve lo ricordo anch’io.
1° – Bobby Fischer, Campione del mondo – 20 (o 19?) partite
Nella sua corsa per il titolo mondiale, culminata nell’epico scontro con Boris Spasskij, Bobby Fischer vinse 20 partite consecutive contro i più grandi maestri dei suoi tempi. Questa striscia vincente ebbe inizio nel Torneo Interzonale di Palma de Mallorca del 1970, dove Fischer vinse sette partite consecutive nella parte finale del torneo, aggiudicandoselo con 18.5 punti su 23. Poiché la vittoria con Oscar Panno gli fu in realtà assegnata per forfait, alcuni storici degli scacchi non la includono nel conteggio.Nei match dei candidati che seguirono nel 1971, Fischer sconfisse prima Mark Taimanov e poi Bent Larsen, entrambi con due rotondi 6-0 (qui il match con Taimanov, mentre a questo link quello con Larsen). Ottenne poi un’altra vittoria nella partita iniziale del terzo match, contro Tigran Petrosian, alla quale seguì la sconfitta nella seconda partita che mise fine alla lunga serie di vittorie consecutive. Successivamente Fischer vinse agevolmente la sfida con Petrosian ed infine anche quella con Spasskij, laureandosi così campione del mondo di scacchi.
2° – Bobby Fischer, Campione del mondo – 11 su 11 nel Campionato degli Stati Uniti del 1963/64
3° – GM Fabiano Caruana – Sette vittorie nell’edizione 2014 della Sinquefield Cup
Nello straripante mondo delle aperture scacchistiche un ruolo poco conosciuto è giocato da quello che molti chiamano “Attacco Rubinstein“, in onore del grandissimo Akiba, che iniziò a giocare la variante (oggi nota come D04 secondo la classificazione dell’Enciclopedia, anche se moltissime sono le trasposizioni possibili) con frequenza a partire dai primi anni del ‘900. Più che di “attacco”, in effetti, si dovrebbe chiamare “sistema”, poiché un suo cospicuo vantaggio -non trascurabile in un periodo storico in cui la mole di teoria è diventata proibitiva anche a livelli medi- è quello che le sue prime 10-12 mosse possono essere giocate dal B praticamente con il pilota automatico. Non che siano impossibili variazioni sul tema, naturalmente, ma, in linea generale, lo sviluppo del B segue una sequenza spesso sempre uguale. Questo non significa che la lotta possa essere meno interessante, anzi: l’apertura è ricca comunque di possibili elementi strategici di estremo rilievo e grande varietà per entrambi i colori, e nel mediogioco può esplodere all’improvviso in attacchi violentissimi praticamente in ogni zona della scacchiera.
Non è andata così in questa partita: il B decide di entrare in una continuazione forse leggermente inferiore, ma conserva una sostanziale parità. Uno dei problemi della Rubinstein è che la complessità dei temi strategico/posizionali rischia di essere assai “time consuming“; la sensazione di essere comunque in una botte di ferro, specialmente per il B, è spesso forte, al punto che i due elementi
Credevate che ci occupassimo soltanto degli alieni sulle 64 caselle? Eh, no! Anche gli scacchi dei comuni mortali hanno un fascino particolare, specialmente se di fronte si siedono due generazioni di scacchisti. Da un lato, con il B, Alex Melchior, forte Candidato Maestro in rapida ascesa, campione di quella Minturno che tante nidiate di eccellenti giocatori sta sfornando. Dall’altro, col N, il sempreverde 1N Sergio Sollima, il cui nome, a Cassino e in provincia di Frosinone, è assoluto sinonimo di “scacchi“. Non a caso io, che di fatto sono il prodotto del suo affettuoso ammaestramento, e mio figlio lo chiamiamo “Il Maestro“.
Durante il 1° torneo sociale “La Torre” ad Atina, i due si sono incontrati per la prima volta sulla “lunga distanza”. Ne è uscita una partita “difficile” e molto interessante, che -inviata da Sergio in risposta al mio invito- propongo qui, con analisi mie. Mi aspetto sia commenti, che -soprattutto!- correzioni.
Buon divertimento!
Tutti conoscono la storia del mancato match fra Bobby Fischer, l’uomo che sconfisse un sistema, e il grande Anatolij Karpov, lo scacchista di ghiaccio. Dopo aver stravinto la sfida del secolo contro Boris Spasskij nel 1972, l’americano si eclissò completamente dalle scene, scacchistiche e non. Giunse il momento di difendere il titolo mondiale, secondo il consueto calendario triennale della FIDE, e fu a quel punto che accadde il fattaccio.
Da Wikipedia:
«Nel 1975 giunse il momento in cui Fischer dovette difendere il titolo contro Anatolij Karpov. Fischer non aveva giocato una sola partita ufficiale da quando aveva vinto il titolo e stese delle condizioni vincolanti per il match. La FIDE accolse diverse delle sue richieste, ma non accettò quella sul come l’incontro sarebbe stato vinto. A partire dal congresso FIDE del 1949, la regola era che gli incontri del Campionato del Mondo erano composti di un numero massimo di 24 partite, con vittoria al primo giocatore che otteneva 12,5 punti. In caso di parità sul 12 a 12, il campione in carica manteneva il titolo. Fischer sostenne che questo sistema incoraggiava il giocatore in testa a pattare le partite, il che non era un bene per gli scacchi. Egli propose un incontro con un numero illimitato di partite, con il primo giocatore che arrivava a dieci vittorie come vincitore, le patte non contavano. In caso di punteggio che arrivava sul 9 pari, il campione (Fischer) avrebbe mantenuto il titolo. In effetti ciò significava che Fischer aveva bisogno di vincere nove partite, mentre Karpov ne doveva vincere dieci. La FIDE non accettò queste condizioni e quindi Fischer rinunciò al titolo. Karpov divenne campione per abbandono dell’avversario».
Tutti si sono sempre chiesti come sarebbe andato il match; parecchi sono convinti che il sovietico avrebbe avuto la meglio. Manca qualsiasi controprova, ma c’è chi si è divertito a far disputare fra due motori il confronto, assegnando dei “parametri di personalità” alle macchine. È andata che, sulle 8 partite,