Con Domenico Baldassarra abbiamo avuto il piacere, qualche settimana fa, di rivedere un’antica partita giocata in un torneo di Sora di… non dico quanti anni fa, quando già risplendeva l’astro di Gianni Donarelli. Con l’inossidabile e irriducibile Mauro Catracchia rappresentammo, per un certo periodo, la triade più agguerrita dello scacchismo nella nostra provincia: Gianni, in verità, irruppe un po’ dopo e fu un’irruzione che lasciò il segno, eccome. Io e Mauro eravamo più improvvisatori, più portati all’avventurismo tattico: Gianni si presentò con una preparazione teorica e una solidità di gioco che rappresentavano delle novità nel contesto dello scacchismo del frusinate. Gli rivolgo un sommesso ma accorato appello da questo sito, anche se sono svariati anni che non abbiamo il piacere d’incontrarci: caro Gianni, che ne diresti di tornare a corteggiare l’antico amore? Le membra saranno un po’ acciaccate ma la voglia di perdersi nelle praterie degli scacchi potrebbe tornare quella d’antan! Il cavallo (e gli altri pezzi, ovviamente!) si sentirebbero in buone mani.
Domenico Baldassarra, dicevamo.
Sabato 12 gennaio la sede di Cassino (presso la “Casa della Cultura”, parco Baden Powell) ha ospitato il penultimo turno dell’apprezzatissimo Campionato Provinciale a Squadre 2018/19. E proprio la formazione di Cassino, come forse fin dall’inizio si poteva ipotizzare e nonostante il massiccio turn over messo in atto in tutti gli incontri, battendo nel “ritorno” Sora con un secco 3 a 1 ha conquistato il titolo, con una giornata d’anticipo. A dire il vero, il quadro pareva già delineato dall’ultimo turno del 2018, allorché -pur pareggiando abbastanza sorprendentemente contro il valoroso Valcomino- la formazione dell’ “Erre J Effe” aveva a sua disposizione un ampio ventaglio di risultati per aggiudicarsi il Campionato: il cospicuo vantaggio accumulato proprio su Valcomino (5 punti) permetteva ai Cassinati di guardare con fiducia ai successivi due incontri, nei quali il pareggio sarebbe bastato per mettere in cascina il titolo. Da fonti solitamente abbastanza attendibili abbiamo appreso che la risonanza del Campionato, già vastissima, è stata attentamente monitorata da una task force nominata dalle FIDE (che come certamente ricorderete ha vanamente tentato di boicottare la manifestazione, mettendo in programma in quasi contemporanea un oscuro e moscio campionato individuale fra giovinotti di belle speranze). Gli esperti FIDE (si vocifera che fossero un quintetto
Il 21 Dicembre è il solstizio d’inverno. Chiamatelo come volete: “Alban Arthuan” (ovvero “la rinascita del Dio Sole”) come i Celti; “Yulè” (ovvero la “ruota dell’anno”) come i Germani; “Jul” (“ruota solare”) come i Norvegesi o “July” (“tempesta di neve”) come i Finnici; “Juvla” come i Lapponi o “Karatciun” (il “giorno più corto”) come i Russi: non cambia nulla, è il solstizio d’inverno, il giorno più corto dell’anno per l’emisfero Nord. Ed è l’inizio dell’inverno… E come celebrare l’inizio dell’inverno, se non con l’apertura più settentrionale di tutte?
La Difesa Scandinava non ha mai goduto di vasta popolarità, anche se la sua recente adozione da parte del Maestro Sergio Sollima rischia di rinverdire l’interesse, in verità mai sopito, per questa apertura. Si tratta di una sequenza molto antica, non priva di pregi (il compianto ed estroso danese Bent Larsen -uno dei più forti giocatori occidentali del secolo scorso, scomparso nel 2010 per un’emorragia cerebrale- amava definirla come un miglioramento della Caro-Kann, e con essa sconfisse a Montreal nel 1979 il Campione del Mondo Anatolij Karpov), ma decisamente poco giocata. Infatti, le statistiche mostrano che è solo la
I “CCCP – Fedeli alla linea” erano un provocatorio gruppo punk/rock italiano, attivo alla fine degli anni ’80 del secolo scorso. Nel magma ribollente della musica alternativa di quegli anni, celebravano la propria ortodossia (!?!?), al punto da sciogliersi dopo le note vicende del 1991.
Come tutti sanno, negli Scacchi la Partita Ortodossa rappresenta un caposaldo della teoria e della pratica scacchistica da almeno un secolo, ed è stata consacrata ai livelli più alti nel corso del match epocale del 1927 fra Capablanca e Alekhine (conclusosi, dopo ben 34 partite, a favore di quest’ultimo) in cui fu giocata solo nella prima partita -una difesa Francese vinta dal russo col N- un’apertura diversa da 1.d4. Un’altra curiosità degna di nota è che l’11a di quel match,
Nello straripante mondo delle aperture scacchistiche un ruolo poco conosciuto è giocato da quello che molti chiamano “Attacco Rubinstein“, in onore del grandissimo Akiba, che iniziò a giocare la variante (oggi nota come D04 secondo la classificazione dell’Enciclopedia, anche se moltissime sono le trasposizioni possibili) con frequenza a partire dai primi anni del ‘900. Più che di “attacco”, in effetti, si dovrebbe chiamare “sistema”, poiché un suo cospicuo vantaggio -non trascurabile in un periodo storico in cui la mole di teoria è diventata proibitiva anche a livelli medi- è quello che le sue prime 10-12 mosse possono essere giocate dal B praticamente con il pilota automatico. Non che siano impossibili variazioni sul tema, naturalmente, ma, in linea generale, lo sviluppo del B segue una sequenza spesso sempre uguale. Questo non significa che la lotta possa essere meno interessante, anzi: l’apertura è ricca comunque di possibili elementi strategici di estremo rilievo e grande varietà per entrambi i colori, e nel mediogioco può esplodere all’improvviso in attacchi violentissimi praticamente in ogni zona della scacchiera.
Non è andata così in questa partita: il B decide di entrare in una continuazione forse leggermente inferiore, ma conserva una sostanziale parità. Uno dei problemi della Rubinstein è che la complessità dei temi strategico/posizionali rischia di essere assai “time consuming“; la sensazione di essere comunque in una botte di ferro, specialmente per il B, è spesso forte, al punto che i due elementi
Credevate che ci occupassimo soltanto degli alieni sulle 64 caselle? Eh, no! Anche gli scacchi dei comuni mortali hanno un fascino particolare, specialmente se di fronte si siedono due generazioni di scacchisti. Da un lato, con il B, Alex Melchior, forte Candidato Maestro in rapida ascesa, campione di quella Minturno che tante nidiate di eccellenti giocatori sta sfornando. Dall’altro, col N, il sempreverde 1N Sergio Sollima, il cui nome, a Cassino e in provincia di Frosinone, è assoluto sinonimo di “scacchi“. Non a caso io, che di fatto sono il prodotto del suo affettuoso ammaestramento, e mio figlio lo chiamiamo “Il Maestro“.
Durante il 1° torneo sociale “La Torre” ad Atina, i due si sono incontrati per la prima volta sulla “lunga distanza”. Ne è uscita una partita “difficile” e molto interessante, che -inviata da Sergio in risposta al mio invito- propongo qui, con analisi mie. Mi aspetto sia commenti, che -soprattutto!- correzioni.
Buon divertimento!
Tutti conoscono la storia del mancato match fra Bobby Fischer, l’uomo che sconfisse un sistema, e il grande Anatolij Karpov, lo scacchista di ghiaccio. Dopo aver stravinto la sfida del secolo contro Boris Spasskij nel 1972, l’americano si eclissò completamente dalle scene, scacchistiche e non. Giunse il momento di difendere il titolo mondiale, secondo il consueto calendario triennale della FIDE, e fu a quel punto che accadde il fattaccio.
Da Wikipedia:
«Nel 1975 giunse il momento in cui Fischer dovette difendere il titolo contro Anatolij Karpov. Fischer non aveva giocato una sola partita ufficiale da quando aveva vinto il titolo e stese delle condizioni vincolanti per il match. La FIDE accolse diverse delle sue richieste, ma non accettò quella sul come l’incontro sarebbe stato vinto. A partire dal congresso FIDE del 1949, la regola era che gli incontri del Campionato del Mondo erano composti di un numero massimo di 24 partite, con vittoria al primo giocatore che otteneva 12,5 punti. In caso di parità sul 12 a 12, il campione in carica manteneva il titolo. Fischer sostenne che questo sistema incoraggiava il giocatore in testa a pattare le partite, il che non era un bene per gli scacchi. Egli propose un incontro con un numero illimitato di partite, con il primo giocatore che arrivava a dieci vittorie come vincitore, le patte non contavano. In caso di punteggio che arrivava sul 9 pari, il campione (Fischer) avrebbe mantenuto il titolo. In effetti ciò significava che Fischer aveva bisogno di vincere nove partite, mentre Karpov ne doveva vincere dieci. La FIDE non accettò queste condizioni e quindi Fischer rinunciò al titolo. Karpov divenne campione per abbandono dell’avversario».
Tutti si sono sempre chiesti come sarebbe andato il match; parecchi sono convinti che il sovietico avrebbe avuto la meglio. Manca qualsiasi controprova, ma c’è chi si è divertito a far disputare fra due motori il confronto, assegnando dei “parametri di personalità” alle macchine. È andata che, sulle 8 partite,