• +393348308891
  • dgtpi@italink.net

Category ArchiveLe storie del Quadrato

Michail Tal’, una sembianza d’infinito

Romanticizzare significa dare

all’ordinario un senso superiore,

al quotidiano un’apparenza di mistero,

al cognito la dignità dell’ignoto,

al finito una sembianza d’infinito

Novalis

Succede a volte per gli scacchi come per la letteratura. Anche chi, come me, per vocazione ed esigenze professionali frequenta la narrativa contemporanea, sente spesso il bisogno di tornare al proprio canone di grandi: Manzoni, Verga, Dickens, Gogol, Cechov, Flaubert, Maupassant, Zola, London, Pirandello, Kafka e tanti altri. Per non parlare della poesia e del pensiero filosofico e storiografico. Negli scacchi, poi, il contrasto sembra ancora più stridente: i giocatori attualmente ai vertici della classifica mondiale saranno a modo loro fortissimi (ci mancherebbe) ma raramente le loro partite appassionano. Ecco: sembra non esserci pathos, sembra non esserci quello spirito che animava i grandi del passato, ma piuttosto sembra di assistere all’esecuzione di spartiti digeriti nel corso della costante frequentazione dei motori. In breve: manca lo stile. Lo stile è il quid che ci connota, è un insieme di tratti distintivi, in cui si concentrano temperamento, cultura, esperienza vissuta (l’erlebnis dei tedeschi). ‘Le style c’est l’homme’ diceva Georges-Louis Leclerc de Buffon: lo stile è (anche) lo scacchista, si potrebbe dire. Quanti di noi sarebbero in grado, se non si sapessero in anticipo i nomi dei contendenti, di riconoscere sulla scacchiera la diversità fra un So e un Nakamura, fra un Caruana e un Anand? Cosa invece possibile se si dovesse riconoscere la diversità fra un Petrosjan e un Bronštejn, fra un Botvinnik e un Larsen. La varietà e la genialità degli scacchisti degli anni ’50, ’60 e ’70 appartengono a una stagione irripetibile, con perle che, man mano che si allontanano negli anni, vedono rinvigorire il loro splendore. Prospettiva che può valere anche per la musica degli stessi decenni: a partire dai Beatles, dai Rolling Stones e dai grandi cantautori italiani.

Ecco farsi avanti l’ingegner Michajl Botvinnik, le cui migliori partite sono, appunto, un progetto ingegneristico perfetto in ogni sua parte, una struttura in cui ‘tout se tient’. Ecco Tigran Petrosjan, scacchista per palati fini, di proverbiali solidità e forza difensiva, con mosse come mattoncini disposti con pazienza uno dopo l’altro a edificare muri di granito. Poi Bent Larsen e il suo coraggioso sperimentalismo: fu uno dei pochi a opporsi allo strapotere sovietico negli anni d’oro. Ancora: la complessa semplicità (mi si passi l’ossimoro) di Vasilij Smyslov, la creatività di David Bronštejn: autore fra l’altro di quello che viene considerato uno dei più bei libri di scacchi, Il torneo internazionale dei Grandi Maestri – Neuhausen/Zurigo 1953, con un commento alle partite di elevato valore tecnico e formativo. Invoca una citazione anche il ‘terribile’, Viktor Korčnoj, irriducibile combattente della scacchiera. Infine, in questa rivisitazione necessariamente sommaria, concedo uno spazio a qualche mio pallino personale, come Ljubomir Ljubojević, uno dei più forti giocatori slavi di tutti i tempi: ai vertici mondiali negli primi anni ’80, si caratterizza per uno stile aggressivo e spesso travolgente. O come Henrique Mecking, brasiliano di origine tedesca. Talento precocissimo, fu strepitoso in alcuni tornei degli anni ’70. Del passato più lontano cito solo Aleksandr Alechin: ovvero gli scacchi, ed è detto tutto.

Ho lasciato per ultimi i due geni forse più grandi e qui è arrivato finalmente il momento di rispondere all’ottimo Fabio Marino, fischeriano doc, ideatore e anima di questo sito, che mi ha affettuosamente sollecitato a dire la mia. Da inguaribile letterato (ormai dovrebbe essere lampante che sono un caso disperato), prendo in prestito alcune categorie letterarie. Robert James Fischer è, per me, il tipo del maudit decadente, del cupo solipsista, destinato forse a un’esistenza grigia, se le risorse segrete del suo inconscio non avessero trovato un loro misterioso e felice approdo negli scacchi. Per Fischer, l’intrattabile introverso misogino Fischer, gli scacchi furono la salvezza e l’apoteosi per buona parte della sua vita. È un giocatore universale, come dice Fabio: in lui si attua una perfetta sintesi di profonda visione strategica e geniale senso tattico. Tantissime sue partite sono puro godimento, oltre che straordinaria palestra di dettami scacchistici.

Ma le ardue praterie della scacchiera, in quel periodo, furono attraversate anche da uno spirito che definirei romantico: Michail Tal’, non a caso soprannominato il ‘Mago di Riga’ (che mi fa venire in mente il ‘Mago del nord’, appellativo del preromantico Johann Georg Hamann). Tal’ è il più forte giocatore combinativo in assoluto, oltre a essere uno dei più grandi quanto a capacità di analisi che cervello umano abbia potuto o possa esercitare sulle 64 caselle. Per lui ho scomodato all’inizio il grande Novalis. Le sue partite, vere e proprie avventure dello spirito, rappresentano metaforicamente una fra le pulsioni più struggenti della vita: quella della voluttà nell’esperire l’ignoto. Non c’era posizione che non potesse essere complicata e trascinata su insondabili vie dal grande lettone, con sacrifici spesso determinanti ai fini della vittoria, a cui nessun altro avrebbe saputo pensare. Creava labirinti di cui solo lui, alla fine, sapeva trovare la via d’uscita. Se l’infinito si manifesta per fuggevoli epifanie nella coltre spesso oppressiva del finito, un sentore d’infinito è nelle sue mosse più belle, in partite che fino a un certo punto sembrano adagiarsi nel ‘sonno’ posizionale. Ecco: quando la partita sembra incanalarsi su binari più o meno scontati, il genio ‘romantico’ fa scoccare la scintilla. Inizia un’altra partita, inizia un’altra storia, ci si inoltra nei meandri dell’ignoto, in cui Tal’ si muove come un rabdomante, con un senso dell’orientamento inaccessibile agli altri.

Fischer delizia. Tal’ emoziona.

Miniature fantastiche e dove trovarle – Mi ritrovai in una selva oscura

Devi portare il tuo avversario in una profonda foresta oscura dove 2+2=5, e il sentiero che conduce all’esterno è abbastanza agevole solo per uno.

Mikhail Tal

Questa citazioni è nota a tutti. Il suo contesto penso che sia anche questo chiaro: come è noto, Tal sacrificava molto spesso pezzi e pedoni, riuscendo quasi sempre a sfangarla. La sfangava perché, sebbene molti suoi sacrifici siano stati bollati, anche senza motori, come sbagliati, aveva la capacità fuori dal comune di sfruttare il nervosismo e la confusione del suo avversario a proprio vantaggio che spesso entrava nelle (poche) varianti assolutamente vincenti per il lettone.

Questa partita, giocata in contesti poco chiari è la dimostrazione perfetta di ciò che dicevo. Tal trova un geniale sacrificio in apertura (che con il passare del tempo diventerà teorico) e porterà il Nero sull’unica possibilità di errore che ha. Io ora vi faccio guardare la partita con il sottofondo dei miei (mediocri) commenti. Buona visione!

Una partita in pieno stile (passatemi il termine) Talliano. Il povero avversario si ritrova sin dal dodicesimo tratto in balia della volontà del suo avversario, che si dimostra un caparbio calcolatore

La regina degli Scacchi e gli Scacchi

Poteva mancare un’occhiata alla serie-cult del momento? Ovviamente no! Io però non l’ho vista; il Maestro (appassionato di cinema più di me) invece sì, e da par suo ha scritto… la sua. Ve la propongo tale quale.

???????? ???????????????????????? ???????????????????? ???????????????????????????? (???????????? ????????????????????’???? ????????????????????????)

A proposito di questa serie, devo dire anzitutto qualcosa sugli scacchi visto che il gioco degli scacchi riveste un ruolo fondamentale nel plot narrativo. La traduzione e il doppiaggio italiani in alcuni punti risultano risibili, anche se gli svarioni possono essere colti solo da chi sa di scacchi: fra gli altri, il nome del grande scacchista russo Alekhine (Alièchin) viene pronunciato goffamente all’inglese (Alecàin), il termine “variante” viene reso con “variazione”, che non esiste nel lessico tecnico degli scacchi. In generale, il gioco degli scacchi – certamente non agevole da rendere in maniera efficace sullo schermo – viene spettacolarmente concentrato in mosse eseguite troppo velocemente e meccanicamente, come se lo scacchista avesse fra le mani il cubo di Rubik invece che i pezzi sulla scacchiera. Troppo enfatizzata, poi, la ricorrenza degli sguardi indirizzati all’avversario piuttosto che alla scacchiera: la guerra psicologica ha un suo ruolo nella contesa scacchistica ma si gioca su una gamma più ricca e sottile di sfumature. Taccio di altre incongruenze nella rappresentazione del gioco.
Le storie di contorno appaiono, poi, un po’ ingabbiate in stereotipi rappresentativi: il custode burbero e solitario ma in fondo tenero, il padre adottivo avido e insensibile, la madre adottiva frivola e alcolizzata, l’amica d’infanzia generosa e comprensiva, alcuni scacchisti piuttosto inaffidabili. Le attrici protagoniste – Isla Johnston è Beth Harmon bambina, Anya Taylor-Joy è la Beth cresciuta – hanno carisma e presenza scenica ma una fissità un po’ monocorde nelle espressioni. Discreta la ricostruzione ambientale, con il sapore degli anni ’60 variamente diffuso negli arredamenti, nelle auto, negli abiti, nella musica. Abbastanza fedele la contrapposizione fra lo scacchismo sovietico – che fu una vera e propria scuola, una “corazzata” con tanti notevoli campioni – e quello americano, basato su singoli exploit. Nella reale storia degli scacchi, il leggendario Bobby Fischer sfidò, praticamente da solo – vincendo – Boris Spassky, che aveva dietro un formidabile team di consiglieri e allenatori.
Ben calibrato il messaggio fondamentale degli scacchi come riscatto sociale ed economico oltre che come veicolo di maturazione emotiva. Resta, in definitiva, la sensazione di una serie onesta, che si segue abbastanza volentieri ma che è stata, a mio avviso, sopravvalutata e che, con alcune scelte più coraggiose nella sceneggiatura, avrebbe potuto risultare più coinvolgente.
(Sergio Sollima © 2021)

Cosa significa essere uno scacco

Il Re, com’era logico, era il più furente: “Hai sbagliato quando hai inutilmente sacrificato il nostro pedone in e4, senza calcolare bene la risposta dell’avversario. Era chiaro che, dopo aver accettato il sacrificio, non sarebbe caduto nel tranello alquanto banale che avevi teso e così ti sei subito ritrovato con un pedone di meno, senza uno straccio di controgioco. Non hai pensato a quel povero pedone?”

Fu la volta del Cavallo, che a mala pena cercava di controllare il suo scalpitante disappunto: “Dovresti ormai sapere che nella difesa Najdorf alla spinta 6…e5 si risponde con 7.Cf3. Che senso aveva mettermi in b3, lontano dal vivo dello scontro? Credevi forse che mi sarei tirato indietro? Che rabbia se solo penso alle tue mani che mi hanno sollevato e messo nella casa sbagliata senza che io potessi fare nulla! Avrei preferito disintegrarmi fra le tue dita, disperdermi su tutta la scacchiera.”

“E io cosa dovrei dire?” disse l’Alfiere campochiaro, oscillando nervosamente su e giù per la grande diagonale ormai sgombra nella generale smobilitazione “mi hai cambiato stupidamente con un cavallo in una posizione aperta e ti sei precluso le già poche possibilità di patta che avevi. Non conosci neanche le regole più elementari del finale.”

Il giocatore era rosso in viso e non sapeva cosa rispondere e poi non capiva ancora come facesse a trovarsi lì, sulla scacchiera, unico imputato, davanti a una corte implacabile. Stava per dire qualcosa quando intervenne la Donna, che fino a quel momento se n’era stata crucciata in silenzio, circondata da uno stuolo di Pedoni disfatti e avviliti: “Non è la prima volta che ci mandi allo sbaraglio e so io quali affronti ho dovuto sopportare perfino da pedoni, che mi hanno inseguito e minacciato fino a costringermi in un angolo in cui io – la Donna, dico, la Donna! – ho dovuto assistere impotente alla disfatta del mio esercito e alla disperazione del mio amato Re, sballottato qua e là sino al matto, senza neanche l’onore delle armi! Non c’è punizione adeguata per te che non hai mai pensato al dolore che ci procuravi, alle umiliazioni alle quali ci sottoponevi. Pensavi fosse un semplice gioco? Pensavi di poter disporre di noi come di schiavi sempre ai tuoi dissennati ordini?”

“Io vi prometto che mi metterò a studiare, che non sbaglierò più una variante…la Najdorf non avrà più segreti per me…anzi no, vi prometto che non giocherò mai più, che non oserò mai più neanche toccarvi né guardarvi…”

“Troppo facile” disse il Re “devi pagare e pagherai. Nella vita chi sbaglia paga e gli scacchi sono come la vita.”

“Lasciatemi andare, vi prego, non potete tenermi qui imprigionato sulla scacchiera, se ne accorgeranno prima o poi, verranno a liberarmi.” Ora piagnucolava: non sapeva a cosa aggrapparsi.

Ma il Re, dopo un rapido cenno d’intesa con la Donna, le Torri, i Cavalli, gli Alfieri, i Pedoni, sentenziò: “Uno dei nostri valorosi Pedoni centrali era già stanco da un po’ per le tante battaglie, lui che è sempre stato uno dei più esposti, che non si è mai tirato indietro sin dalle prime mosse di ogni partita. Mi ha confessato che non gli dispiacerebbe godersi un po’ di riposo. Prenderai il suo posto, diventerai un pedone a tutti gli effetti e capirai cosa significa essere mandati allo sbaraglio, avere poche armi per difendersi e avanzare, solo avanzare senza poter mai retrocedere, sempre disposti al sacrificio. Forse, se avrai più fortuna di chi stai per sostituire, proverai la gioia di essere promosso sul campo e allora potrai trasformarti anche in una magnifica Donna coronata. Capirai cosa significa essere uno scacco.”

dal libro di Sergio Sollima L’automobile che m’investirà e altri racconti, Manni Editore 2008