Il pericolo giallo è la credenza, nata alla fine del XIX secolo, che i popoli dell’Asia orientale e sud-orientale costituiscano un pericolo per il mondo occidentale. Questo, ovviamente, non è vero; ma se guardiamo il panorama scacchistico mondiale (eccezion fatta per l’esplosione indiana), notiamo che a livello blitz e rapid esiste effetivamente un pericolo giallo “occidentalizzato” per la nostra vecchia Europa. Questo pericolo si chiama Hikaru Nakamura.
Ah, e che belle le partite di Carlsen! Di solito, una noia mortale. Parlando seriamente, come succede spesso, provo un certo godimento a vedere il più forte perdere. Il che per uno juventino è particolare, dato che di solito i più forti siamo noi, ma va bene così. Credo che siamo tutti d’accordo che quando vediamo il Leicester vincere la Premier League, il Lille la Ligue 1 o il Girona qualificarsi in Champions sono sicuramente grandissime emozioni, non paragonabili a vedere il Bayern Monaco vincere 11 volte di fila la Bundesliga.
Vedere Carlsen perdere dunque è, per me, una specie di godimento, mentre vedere Nakamura vincere è sempre un gran piacere, data l’incredibile simpatia che provo verso di lui.
Quando si incontrano ci sono spesso fuochi d’artificio, come succede qui:
Io non vorrei essere frainteso, ma a me Carlsen sta semplicemente antipatico per il suo modo di fare lo sbruffone e come se fosse l’unico capace di giocare a scacchi al mondo. Nakamura invece è molto simpatico, e da quello che leggo in giro, anche molto disponibile
Iniziare, per l’ennesima volta, un articolo su Tal non è facile. Ormai ho quasi letteralmente finito le parole per definirlo e si rischia di cadere in una fastidiosa tautologia. Il Mago di Riga è stato chiaramente un’incredibile meteora del panorama scacchistico mondiale. Precoce Campione del Mondo a 24 anni, non ha mai mantenuto la costanza che uno si aspetterebbe da un Campione del Mondo come lui, dato che lo è stato per solo un anno, tra il 1960 e il 1961, dopo aver sconfitto Botvinnik e aver perso la rivincita.
Questa partita è stata però giocata molto dopo la sua “carica” da Campione del Mondo, in quanto si parla del 1987, ma nonostante questo il buon Mikhail conferma le sue capacità tattiche non fuori dal comune, ma dal mondo.
Nel 1987, a 4 anni dal suo ritiro dalle scene, Tal giocò due soli tornei, entrambi vinti; in uno di questi due giocò questa bellissima partita, che ora vi faccio vedere. Notate la grandissima capacità di Tal di “creare dal nulla” situazioni vantaggiose da posizioni complesse per entrambi
Come direbbe qualcuno, Tal emoziona
Dopo aver parlato dell’ottimo CIS di qualcuno, bisogna anche parlare del pessimo CIS di qualcun altro. Come già detto, ho fatto un pessimo 1,5/5, anche se le due partite con risultato positivo sono state veramente carine. Oggi vediamo una delle due partite, considerando che probabilmente arriverà anche l’altra.
Siamo a Latina, in un incontro decisivo per provare ad inseguire la chimera della promozione. Papà, in seconda scacchiera, dopo un ottimo attacco, commette una grave svista e perde: 1-0. Angelo, in terza scacchiera, anche lui in vantaggio, commette un gravissimo errore, e capitola: 2-0.
Antonio in quarta scacchiera non riesce purtroppo a sfondare e patta: 2,5-0,5. Rimaneva solo la mia partita, questa:
Purtroppo non riesco a vincere, ma nella migliore delle ipotesi avremmo perso 2,5-1,5 e non sarebbe cambiato niente. Dopo questa partita eravamo ormai aritmeticamente esclusi dalla lotta promozione e quindi l’ultimo turno contava solamente per le statistiche
In principio furono due K… In effetti, se si guarda la storia degli Scacchi a livello di Mondiale ci si rende conto che il fattore K ha dominato la scena per oltre cinquant’anni. Non si può infatti sottacere il peso di un giocatore come Keres, assoluto protagonista dal 1948 fino alla morte a 59 anni nel 1975, sebbene non abbia mai giocato un mondiale per beceri motivi politici, essendo Estone alla corte sovietica. Ma dal 1974 fino alla soglia del XXI secolo la K è stata la dominatrice assoluta della scena scacchistica. Tutto iniziò nel 1974, giusto 50 anni fa, quando un giovane GM in ascesa, ben visto agli occhi del PCUS (tale Karpov…), affrontò nell’allora Leningrado il beniamino di casa, il più anziano Korchnoi, la “Tigre di Leningrado”,
Se dovessi stilare una classifica dei campioni del mondo più sottovalutati di tutti i tempi, la top 3 sarebbe all’incirca questa: 3. Emmanuel Lasker, 2. Vassily Smisslov, 1. Max Euwe, il “piano player”, sul quale non bisogna “sparare”. Euwe è un personaggio bistrattato al giorno d’oggi, tanto da essere quasi più conosciuto come presidente della FIDE (ve lo ricordate, vero?) che come giocatore. Quando si parla di Euwe, nelle discussioni generaliste si finisce sempre a parlare, a torto, del modo in cui è diventato campione del mondo. Nel 1935, Alekhine, dall’alto della sua superbia, accettò a cuor leggero un’offerta per il titolo (allora funzionava così) contro quello che, fino a quel momento, era stato solo Campione del Mondo amatori nel 1928. Nel match si portò rapidamente in vantaggio di 2 punti, ma dalla 13esima partita in poi, il Campione del Mondo subì un’inspiegabile debacle, perdendo dunque 15,5-14,5 sui 30 incontri.
La grande sportività di Euwe venne dimostrato accettando la sfida (poi persa) nel 1937 contro l’ex Campione del Mondo. La poca considerazione che aveva l’olandese è evidente anche da una banale ricerca su Google: cercando “Max Euwe” su un qualsiasi browser, il risultato di Wikipedia sarà “matematico” e non “scacchista” o, meglio ancora, “campione del mondo di scacchi”.
In questa partita, Euwe, dopo aver giocato, a mio parere, un’apertura non eccelsa, si scatena ai danni del povero Tartakower, che non si rende minimamente conto di cosa stia succedendo
Don’t shoot on the piano player
Come già detto qui, negli scacchi, le donne sono “discriminate”. Esistono i titoli femminili, i campionati nazionali, europei e mondiali femminili che non vengono molto considerati. Quanti saprebbero dirmi chi è stata la prima campionessa del mondo? Penso pochissimi, se non nessuno. Quanti saprebbero invece dirmi chi è stato il primo campione del mondo ufficiale? Beh, che sia Wilhelm Steinitz lo sanno più o meno tutti coloro che giocano da almeno 4/5 mesi. C’è poi chi sostiene (secondo me, a ragione) che i titoli femminili andrebbero aboliti (e sì, parlo di Alexandra Botez, qui trovate le sue parole). D’altronde, sono soltanto l’ennesimo segno di distinzione tra uomini e donne in uno dei pochi sport (a memoria, me ne viene in mente solo un altro, l’equitazione) in cui non c’è, nei tornei “normali” distinzione di sesso.
In questa partita della Sedina, abbiamo la dimostrazione che il talento combinativo non è una prerogativa maschile. Buona visione!
Un matto del genere neanche nei migliori sogni degli appassionati comuni
Una premessa a questo nuovo articolo di Alex è d’obbligo. Ho studiato e giocato l’apertura Larsen per anni, sostanzialmente ci sono “diventato grande”. È stata il vettore per il passaggio da 3N a 2N e poi a 1N del Maestro Sergio Sollima, con cui ne abbiamo condiviso lo studio; a me ha consentito di passare da NC a 2N in soli due tornei. Anche nei successivi tornei credo di non averci mai perso. La trovo un’apertura molto interessante, ricca di possibilità sia posizionali, che tattiche. Sul finire degli anni 80, però, mi accorsi che il passaggio di categoria, il salto di qualità sarebbe stato piuttosto difficile, perché -sebbene non ci perdessi mai- le vittorie si erano diradate, in quanto gli avversari, di livello evidentemente sempre più alto, trovavano facilmente le contromisure a quello che era diventato il nostro (di Sergio e mio) sistema: struttura pedonale con a3, b3, c4, d3 (o e3), spesso g3 con il doppio fianchetto; Cavalli in d2 e f3, Donna in c2. Poiché mi trovavo poi spesso in difficoltà contro 1… d5 (temevo sempre che l’Ab2 potesse essere murato vivo dal Nero), decisi di abbandonare, con rammarico, la Larsen, optando (ispirato da “Repertorio di aperture per il Bianco”) per 1. d4. Apertura che ho conservato fino a pochi anni fa, quando un ostinato familiare mi impose di aprire sempre e solo con 1. e4
Però, da un po’ di tempo ho ripreso in mano la cara, vecchia Larsen (o Nimzo-Larsen, come vi pare),
Di grandi geni scacchistici dimenticati ce ne sono parecchi, da quelli “antichi”, anche italiani (si pensi ai vari Gioacchino Greco e al Siracusano) a quelli più moderni. Quelli antichi sono “dimenticati” proprio per questo motivo, al giorno d’oggi non sono molto considerati anche per difficoltà nel recepire le loro partite. Quelli moderni invece è per mancato interesse (e penso a giocatori come Marshall, che oggi conoscono davvero in pochi ma in grado di cacciare perle niente male). Quello di cui parliamo oggi ha solo “assaggiato” le luci della ribalta, senza riuscire però a raggiungere il famigerato “prime” per motivi, come succede tristemente spesso, extra scacchistici di salute mentale.
Fu una meteora durata poco più di 10 anni. Nel 1969 infatti, da sconosciuto (aveva vinto il campionato sloveno dell’anno precedente) dominò il Vidmar memorial di Lubiana davanti a gente come Gligoric, Byrne e altri 5 grandi maestri, quindi non scappati di casa. Sarebbe dovuto diventare GM già all’ora, ma la FIDE non lo permise perché, all’epoca si doveva essere quantomeno Maestro Nazionale, cosa che il protagonista di oggi non era e si dovette “accontentare” di diventare GM solo 3 anni dopo.
Io vi lascio entrare nella partita, augurandovi una buona visione per una partita spettacolare
Questo GM dimenticato era veramente un portento, vero?
Romanticizzare significa dare
all’ordinario un senso superiore,
al quotidiano un’apparenza di mistero,
al cognito la dignità dell’ignoto,
al finito una sembianza d’infinito
Novalis
Succede a volte per gli scacchi come per la letteratura. Anche chi, come me, per vocazione ed esigenze professionali frequenta la narrativa contemporanea, sente spesso il bisogno di tornare al proprio canone di grandi: Manzoni, Verga, Dickens, Gogol, Cechov, Flaubert, Maupassant, Zola, London, Pirandello, Kafka e tanti altri. Per non parlare della poesia e del pensiero filosofico e storiografico. Negli scacchi, poi, il contrasto sembra ancora più stridente: i giocatori attualmente ai vertici della classifica mondiale saranno a modo loro fortissimi (ci mancherebbe) ma raramente le loro partite appassionano. Ecco: sembra non esserci pathos, sembra non esserci quello spirito che animava i grandi del passato, ma piuttosto sembra di assistere all’esecuzione di spartiti digeriti nel corso della costante frequentazione dei motori. In breve: manca lo stile. Lo stile è il quid che ci connota, è un insieme di tratti distintivi, in cui si concentrano temperamento, cultura, esperienza vissuta (l’erlebnis dei tedeschi). ‘Le style c’est l’homme’ diceva Georges-Louis Leclerc de Buffon: lo stile è (anche) lo scacchista, si potrebbe dire. Quanti di noi sarebbero in grado, se non si sapessero in anticipo i nomi dei contendenti, di riconoscere sulla scacchiera la diversità fra un So e un Nakamura, fra un Caruana e un Anand? Cosa invece possibile se si dovesse riconoscere la diversità fra un Petrosjan e un Bronštejn, fra un Botvinnik e un Larsen. La varietà e la genialità degli scacchisti degli anni ’50, ’60 e ’70 appartengono a una stagione irripetibile, con perle che, man mano che si allontanano negli anni, vedono rinvigorire il loro splendore. Prospettiva che può valere anche per la musica degli stessi decenni: a partire dai Beatles, dai Rolling Stones e dai grandi cantautori italiani.
Ecco farsi avanti l’ingegner Michajl Botvinnik, le cui migliori partite sono, appunto, un progetto ingegneristico perfetto in ogni sua parte, una struttura in cui ‘tout se tient’. Ecco Tigran Petrosjan, scacchista per palati fini, di proverbiali solidità e forza difensiva, con mosse come mattoncini disposti con pazienza uno dopo l’altro a edificare muri di granito. Poi Bent Larsen e il suo coraggioso sperimentalismo: fu uno dei pochi a opporsi allo strapotere sovietico negli anni d’oro. Ancora: la complessa semplicità (mi si passi l’ossimoro) di Vasilij Smyslov, la creatività di David Bronštejn: autore fra l’altro di quello che viene considerato uno dei più bei libri di scacchi, Il torneo internazionale dei Grandi Maestri – Neuhausen/Zurigo 1953, con un commento alle partite di elevato valore tecnico e formativo. Invoca una citazione anche il ‘terribile’, Viktor Korčnoj, irriducibile combattente della scacchiera. Infine, in questa rivisitazione necessariamente sommaria, concedo uno spazio a qualche mio pallino personale, come Ljubomir Ljubojević, uno dei più forti giocatori slavi di tutti i tempi: ai vertici mondiali negli primi anni ’80, si caratterizza per uno stile aggressivo e spesso travolgente. O come Henrique Mecking, brasiliano di origine tedesca. Talento precocissimo, fu strepitoso in alcuni tornei degli anni ’70. Del passato più lontano cito solo Aleksandr Alechin: ovvero gli scacchi, ed è detto tutto.
Ho lasciato per ultimi i due geni forse più grandi e qui è arrivato finalmente il momento di rispondere all’ottimo Fabio Marino, fischeriano doc, ideatore e anima di questo sito, che mi ha affettuosamente sollecitato a dire la mia. Da inguaribile letterato (ormai dovrebbe essere lampante che sono un caso disperato), prendo in prestito alcune categorie letterarie. Robert James Fischer è, per me, il tipo del maudit decadente, del cupo solipsista, destinato forse a un’esistenza grigia, se le risorse segrete del suo inconscio non avessero trovato un loro misterioso e felice approdo negli scacchi. Per Fischer, l’intrattabile introverso misogino Fischer, gli scacchi furono la salvezza e l’apoteosi per buona parte della sua vita. È un giocatore universale, come dice Fabio: in lui si attua una perfetta sintesi di profonda visione strategica e geniale senso tattico. Tantissime sue partite sono puro godimento, oltre che straordinaria palestra di dettami scacchistici.
Ma le ardue praterie della scacchiera, in quel periodo, furono attraversate anche da uno spirito che definirei romantico: Michail Tal’, non a caso soprannominato il ‘Mago di Riga’ (che mi fa venire in mente il ‘Mago del nord’, appellativo del preromantico Johann Georg Hamann). Tal’ è il più forte giocatore combinativo in assoluto, oltre a essere uno dei più grandi quanto a capacità di analisi che cervello umano abbia potuto o possa esercitare sulle 64 caselle. Per lui ho scomodato all’inizio il grande Novalis. Le sue partite, vere e proprie avventure dello spirito, rappresentano metaforicamente una fra le pulsioni più struggenti della vita: quella della voluttà nell’esperire l’ignoto. Non c’era posizione che non potesse essere complicata e trascinata su insondabili vie dal grande lettone, con sacrifici spesso determinanti ai fini della vittoria, a cui nessun altro avrebbe saputo pensare. Creava labirinti di cui solo lui, alla fine, sapeva trovare la via d’uscita. Se l’infinito si manifesta per fuggevoli epifanie nella coltre spesso oppressiva del finito, un sentore d’infinito è nelle sue mosse più belle, in partite che fino a un certo punto sembrano adagiarsi nel ‘sonno’ posizionale. Ecco: quando la partita sembra incanalarsi su binari più o meno scontati, il genio ‘romantico’ fa scoccare la scintilla. Inizia un’altra partita, inizia un’altra storia, ci si inoltra nei meandri dell’ignoto, in cui Tal’ si muove come un rabdomante, con un senso dell’orientamento inaccessibile agli altri.
Fischer delizia. Tal’ emoziona.
Nuovo giorno, nuova avventura. Oggi parliamo della brillante partita di un certo Ihor Samunenkov, che io non conoscevo. E non lo conoscevo perché è diventato GM solo a dicembre 2023 ed è un classe 2009 (in pratica ha un anno e 3 mesi meno di me, che ho ben 822 punti Elo meno di lui), il che lo rende uno dei GM più giovani di tutti i tempi. Alla sua età ha già giocato una fantastica partita all’Abu Dhabi Chess Festival contro un MI Indiano Harsh Suresh (anche lui un giovincello che ha 1 anno, 2 mesi e 720 punti Elo più di me). Questi due hanno cacciato una robetta niente male che ora vi lascio vedere con la massima calma. Direi, dunque, buona visione!
Un giovane così forte che riesce a giocare tranquillamente combinazioni di questo tipo che manco fosse uno con il doppio dell’età. Il romanticismo di oggi, alla fin fine, non è così male!